giovedì 27 settembre 2007

Alcuni pensieri di un grande Santo, quale è stato Giuseppe Moscati, che ho trovato in giro su internet, in occasione della miniserie tv andata in onda ieri sera e mercoledi. Ci sarebbe tanto da riflettere.

Quale rapporto tra Giuseppe Moscati e i giovani ?
Nella vita del Prof. Moscati ci sono molti episodi che manifestano le relazioni tra lui e i giovani. Ne cito brevemente tre, senza commento, perché sono di per se stessi significativi.
- Quando il Prof. Francesco Pentimalli invitò Moscati a far parte della commissione che doveva organizzare l'assistenza ospedaliera, ricevette una lettera, che conserviamo, in cui si manifesta il disappunto per come vengono trattati gli alunni di medicina. Dice pressappoco: Ho creduto che fosse debito di coscienza istruire i giovani, aborrendo dall'andazzo (dice proprio così) di nascondere i risultati della propria esperienza. Eppure questi giovani in tutta Italia dovranno sollevare le sofferenze e rendere gloria all'Università di Napoli.
- Il Dott. Giuseppe Biondi era stato alunno di Moscati, ma questi non poté presenziare alla festa della laurea. Gli scrisse allora una lettera memorabile, in cui gli dice, tra l'altro, che diventando medico si era assunto la responsabilità di una "sublime missione". Deve, quindi, avere Dio nel cuore, ricordare gli insegnamenti dei genitori, avere pietà per i derelitti, essere sordo alle lodi, sempre disposto a fare il bene.
- Per i giovani alunni aveva un grande rispetto. In ospedale, visitando con loro gli ammalati o discutendo di qualche malattia, quando si accorgeva che qualcuno prendeva una cantonata, egli non lo riprendeva, ma con delicatezza esprimeva il suo parere, senza umiliare l'interessato.
In conclusione, il Prof. Moscati era l'amico dei giovani: li consigliava, li difendeva quando erano accusati ingiustamente e più volte faceva da compare di nozze, quando si sposavano. Un medico, il Dott. Alfonso Preziosi, ricordandolo, lo chiamava "il mio maestro e padre".

Diceva Moscati: "Ama la verità". Seguire la verità porta anche a sofferenze ed incomprensioni. Come Giuseppe Moscati, da uomo e da medico, si è "confrontato" con questa realtà ? 

"Essere "medico dei poveri", vuol dire avere un animo sensibile, essere disinteressato, non attaccato al danaro. Ma soprattutto amare veramente Dio.
Moscati aveva tutto questo. Durante la sua vita e soprattutto dopo la morte, innumerevoli furono le testimonianze ed i riconoscimenti del suo amore per i poveri. Si ricordi cosa scrisse, dopo la morte, una mano ignota nel registro posto alla porta di casa: "Il mondo ha perduto un santo, Napoli un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto".
Al mondo di oggi, dominato dall'egoismo, dalla ricerca del piacere, ottenuto a qualunque costo e, conseguentemente, dalla ricerca sfrenata del facile guadagno, Moscati potrebbe ripetere, prima di tutto, quanto diceva a una sua conoscente : "amiamo il Signore senza misura, vale a dire, senza misura nel dolore e senza misura nell'amore". Infatti, senza l'amore di Dio, non vi può essere l'amore del prossimo. Inoltre, ricorderebbe che "la vita è un attimo; onori, trionfi, ricchezza e scienza cadono, innanzi alla realizzazione del grido della Genesi, del grido scagliato da Dio contro l'uomo colpevole: Tu morrai! Ma la vita non finisce con la morte, continua in un mondo migliore".
Ai medici ricorderebbe prima di tutto che essi, seguendo la medicina, si sono assunta la responsabilità di una "sublime missione" e che "gli ammalati sono le figure di Cristo". Inoltre, direbbe ciò che scrisse al collega Giuseppe Borgia: "ricordiamoci di avere di fronte a noi, oltre che un corpo, un'anima, creatura di Dio". E, infine, ripeterebbe le memorabili parole, scritte al Dott. Antonio Guerricchio: " Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo in alcuni periodi".

fonte: www.paoline.it

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